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CAMPUS HAITI, OTTOBRE 2018

Il Campus solidale di ottobre nella Casa NPH in Haiti è in corso. Paola ed Elisabetta della Fondazione stanno accompagnando un gruppo di partecipanti di tutte le età alla scoperta dei progetti della Fondazione in aiuto ai bambini e ragazzi NPH.

Ecco i loro racconti:

Sabato 6 ottobre

“Oggi abbiamo preparato la pizza per tutti i bambini accolti nella Casa NPH a Kenscoff. Una gran fatica ma anche una grandissima gioia, ormai per loro è una tradizione, aspettano con ansia i nostri campus solidali anche per poter finalmente mangiare una bella fetta di pizza in compagnia!”

Domenica 7 ottobre

“Stamattina abbiamo avuto il vero battesimo di Haiti. La messa delle 7 con Padre Rick, nella cappella adiacente l’Ospedale St Damien.
Arriviamo in anticipo. Ci sono 5 bare di fronte all’altare. Si capisce immediatamente che non si tratta di solo 5 persone.
Una mamma con il suo bebe. Nelle altre 4 bare più di 15 bambini, 2 bambini che avranno avuto 7/8 anni. Tanti neonati . Tutti avvolti in sacchi bianchi.
Nessuno li piangeva al funerale. Erano soli in questo ultimo passaggio.
La messa celebrata alla mattina ha il funerale come una delle sue principali funzioni.
Abbiamo sollevato le bare e le abbiamo accompagnate al camion. Tutti noi lo abbiamo poi seguito come in una processione cantando. Dietro l’ospedale abbiamo aiutato ad estrarre i corpicini dalle bare di cartone e mettere in un container camera ardente. Uno per uno. Li abbiamo accompagnati con le nostre braccia e le nostre lacrime. 
Prima di entrare nella cappella stamattina, un cardiochirurgo americano qui con altri colleghi (metà italiani) per 2 settimane per fare 14  interventi  salvavita, guardando le bare appoggiate a terra,  mi sussurra <<questo mi ricorda perché sono qui>>…

Nel pomeriggio abbiamo passato del tempo con i bambini assistiti presso l’Ospedale St Damien. Ci sono stati momenti di intense emozioni e altri di gioia e divertimento. Lisa e Giacomo nella stanza dei pesci, la stanza dove sono accolti i bambini abbandonati e disabili, hanno coccolato i piccini e portato un po’ a passeggio i bambini disabili, felici nelle loro seggioline a rotelle. Nel reparto oncologico Francesco ha conquistato Fabio, un bambino in cura chemioterapica, facendo un pirata di cartoncino. Emanuela e Betta nella stanza delle arance hanno disegnato con i bimbi e gonfiato palloncini.”

Elisabetta e Paola

 

Lunedì 8 ottobre

“I partecipanti al Campus oggi stanno lavorando nel magazzino di Francisville, la città dei mestieri, sotto la guida di Padre Rick per preparare tutto il materiale in aiuto alle persone colpite dal terremoto dei giorni scorsi che ha colpito principalmente le zone a nord di Haiti. Medicinali, cibo, 1000 litri di flebo, guanti. Il lavoro ad Haiti non si ferma mai, in qualche modo qui si è sempre in prima linea.”

Martedì 9 ottobre

“Oggi abbiamo caricato 700 sacchi di pasta prodotta a Francisville da distribuire ai bambini delle Scuole di strada St Luc. Porteranno questi sacchi a casa dalle loro famiglie.
Abbiamo anche visitato Cité Soleil, lo slum più povero di Port au Prince. A pomeriggio tanti giochi con i bambini più piccoli accolti nella Baby House Ste Anne.”

Giovedì 11 ottobre

“Oggi abbiamo passato la nostra giornata con i bambini di FWAL tra disegni, girotondi e balli”

Venerdì 12 ottobre

“Abbiamo passato la mattina l’abbiamo passata a travasare pesci tilapia dalle vasche dietro l’ospedale St. Damien a quelle di Francisville – città dei mestieri, il Centro di formazione professionale realizzato dalla Fondazione. È stato molto divertente!”

 

Francesco, giovane partecipante, racconta la sua difficile ultima giornata di Campus:

“Alla fine di una giornata struggente, in cui abbiamo seppellito circa 200 bambini, toccando i loro corpicini congelati in alcuni casi, in altri per fortuna no, essendo in sacchetti dell’immondizia, torniamo all’ospedale pediatrico Saint Damien per i vespri. E quel giorno, quel maledetto venerdì 12 ottobre, ho fatto una cosa che ha segnato la mia vita e che ha lasciato una cicatrice sul mio cuore. Durante i giorni precedenti aveva diluviato, era anche passato un uragano. A Cité Soleil, lo slum di Port Au Prince, le “strade” erano ricoperte di acqua, che essendo entrata nelle baracche insieme a spazzatura e fango, non permetteva alle persone di dormire: del resto il loro letto era il suolo, e non si può dormire galleggiando. 
I vespri sono interrotti all’inizio da padre Rick Frechette, che era appena arrivato con una macchina bianca accompagnato da una suora. Ci dice di prendere una bara grande, e che i vespri sarebbero stati sostituiti da una funzione funeraria. Io, con una prontezza che non credevo di avere vista la giornata che avevamo appena passato, predo la bara di cartone e raggiungo padre Rick. Nel baule dell’auto vedo un bambino avvolto in un telo bianco. Aiuto a tirarlo fuori e a metterlo nella bara. Corro a strappare un fiore rosso e lo metto sul bambino. Solleviamo la bara e la mettiamo in mezzo a tutti. Chiedo spiegazioni alla suora, e inizialmente capii che Rivaldo, così si chiamava bambino, era annegato mentre giocava con gli amici. 
Durante tutta la funzione il mio cervello è spento, gli occhi fissi su Rivaldo. Lo vedevo respirare, più di una volta volevo interrompere padre Ric per chiedergli di portare Rivaldo al Pronto Soccorso, mi sembrava vivo! Il mio cervello voleva che lo fosse, non poteva sopportare la consapevolezza di un altro bambino morto, visto e seppellito quel maledetto venerdì. 
Dopo la funzione parliamo con la suora, e capisco bene cosa era successo. Rivaldo stava giocando con gli amici, voleva fare un bagno e si era tuffato in una pozzanghera. La pozza era più bassa del previsto, e per questo motivo si era spezzato l’osso del collo. 
Quando ho sentito e capito cosa davvero fosse successo, improvvisamente anche i miei occhi hanno visto che non respirava. Con l’osso del collo spezzato non è possibile vivere. Una scarica elettrica mi ha invaso, è partita dal cuore ed è arrivata ai piedi, e mi ha pietrificato difronte alla bara, impedendomi mi muovermi e di reagire. Guardavo la faccia di quel piccolo, e non riuscivo a fare altro che piangere. Poi mi ricordai che durante il pomeriggio avevo comprato un crocefisso nero da portarmi a casa come ricordo del viaggio: lo tirai fuori dalla sacca, lo legai intorno al collo di Rivaldo, gli congiunsi le mani per farlo sembrare dormiente, gli ho raddrizzato la testa. Volevo che non sembrasse morto, volevo che venisse seppellito con tutta la dignità di cui un bambino ha diritto. 
Non credo che ci siano parole per descrivere come mi sono sentito. La morte è un evento che non può essere compreso, figuriamoci una disgrazia successa ad un bambino di soli 13 anni. 
Tornati a Villa Francesca ho ricomprato quel crocefisso, che tengo tutti i singoli giorni al collo, come memorandum per il futuro: non mi serve per ricordare davvero cosa ho visto, sono ricordi che non svaniranno mai, ma è simbolico. Oltre a materializzare l’esperienza di tutta la giornata, mi serve per ricordare quanto la vita sia stata generosa con me, quanto io sia fortunato, quanto devo ricordarmi di essere grato ai miei genitori per avermi concesso tutto ciò che ho. Ma deve anche ricordarmi di trovare risposte alle migliaia di domande che mi sono sorte durante questa esperienza. Una di queste è “perché io si e loro no?”. E ho trovato una risposta parziale. Non c’è un motivo, come dice il detto: “c’est la vie”. Ma le circostanze non impediscono un ponte tra il mio mondo e quello non solo di Haiti, ma di tutti gli altri posti in cui c’è bisogno di sostegno e di aiuto. 
“Credo che questa sia l’essenza ultima dell’uomo: esserci per chi ne ha bisogno.” Questa frase credo che incarni il cuore delle risposte che devo trovare a tutte le mie domande. Spesso non c’è un motivo, le tragedie accadono, le disuguaglianze ci sono. Ma non ha senso perdere tempo ad indagare sul perché delle cose, ma sul come fare per migliorare la situazione. Ed è esattamente quello che mi impegnerò a fare, da questo momento, assieme alla Fondazione Francesca Rava. Esserci per chi ne ha bisogno.”

Francesco