Spendere due settimane nella casa NPH è stata una boccata di aria fresca per me. Ho provato tante emozioni che, al mio ritorno, sono state persino difficili da spiegare a parole. Ho cominciato il mio percorso nella casa sicura che qualcosa dentro di me sarebbe cambiato, mai e poi mai mi sarei però aspettata tutto ciò che poi mi sono portata a Milano.
A partire dai pomeriggi con i bambini che, con la precisione di chi non vede l’ora di rivederti ogni giorno, si ricordano di te, di come ti chiami e di cosa ti piace. Ho imparato in queste due settimane che lavorare nella casa NPH non è stato solo “dare” ma anche e soprattutto “ricevere”. Perché è proprio su questo che si sono basati i rapporti all’interno della casa: uno scambio continuo di emozioni.
Ho imparato tanto non solo dalle mie lacrime ma anche da quelle dei miei compagni di avventura (sui quali non posso dire altro se non che sono stati davvero meravigliosi). Vedere i miei compagni emozionarsi è qualcosa che sicuramente mi porterò dietro con cura, non è stato facile mostrarci vulnerabili l’uno con l’altro ma, a posteriori, possiamo dire che sia stato davvero significativo per tutti. Mi sono sentita ascoltata e consolata da ognuno di loro, sempre.
Il momento in cui ho percepito che qualcosa di grande stava succedendo e di quanto io fossi grata di trovarmi dove mi trovavo è stato un pomeriggio dopo la messa. Tornati dalla messa siamo andati a giocare con i bambini sul prato.
Ad ognuno di noi (compagni) non importava più dell’altro, in quel momento ognuno di noi era occupato a divertirsi con i bimbi. Sapevamo che era esattamente quello il motivo del nostro viaggio e, in quel momento, ho visto nei miei compagni la serietà e allo stesso tempo il divertimento di chi con grande passione si impegna a creare quello spazio sicuro in cui possa avvenire il famoso scambio.
- Caterina, Campus in Repubblica Dominicana