Francesco, partecipante al Campus in Haiti

“Tempo fa mi trovavo a Port-Au-Prince, Haiti, con un gruppo di partecipanti al Campus solidale della Fondazione Francesca Rava. Haiti è un paese molto povero, molto diverso dall’Italia. Un giorno eravamo a Cité Soleil (la grande baraccopoli della città) e stavamo costruendo una casa assieme alla gente del posto. Faceva un caldo tremendo (tipo 35°c) e il sole batteva forte, quindi si faticava parecchio. Mentre trasportavo mattoni, mi sono accorto di una bambina che mi guardava. Mi sono avvicinato e l’ho salutata. Lei era timida e dolce, mi sorrideva guardando per terra. L’ho presa in braccio e abbiamo parlato un po’. Fra le altre cose, mi ha mostrato casa sua (che erano due mattoni montati alla buona con sopra un tetto di lamiera) e mi ha presentato suo papà, un ragazzo della mia età che stava lavorando con me. Delle sue amiche ci hanno raggiunto, mi hanno chiesto se avevo la ragazza e sono scoppiate a ridere. Quando l’ho rimessa giù ha corso da loro e le ha sgridate.
Ora, vedete, una delle molte tragedie di quel posto è che mancano le infrastrutture di base. Non ci sono acquedotti, per cui l’acqua viene trasportata in bottiglioni e… scarseggia, per usare un eufemismo. Figuratevi con quel caldo, poi. Insomma, la gente lì ha sete. Noi volontari avevamo portato dell’acqua per la giornata ma ci hanno vietato di distribuirla, perché gli assetati sono troppi e, non avendone abbastanza per tutti, rischiavamo che si facessero del male per ottenerla. Così quel giorno per loro niente, dovevano aspettare il furgone dell’acqua che sarebbe passato l’indomani. Ma loro avevano sete in quel momento, mica l’indomani! La prima domanda, umiliante per tutti, sorge spontanea: perché l’acqua spettava a me e non a loro? Perché io e non loro? Avevamo faticato tutti insieme, avevamo tutti sete. Perché allora? Se ci pensate, una vera ragione non c’è…si chiama ingiustizia. Mi sono sentito cattivo e impotente, una sensazione strana. Poi ho riguardato la bambina e mi sono chiesto da quanto tempo non bevesse qualcosa. Non ho resistito, ho preso quello che rimaneva e l’ho chiamata di nascosto dietro un angolo. Le ho porto la mano, dischiuso le dita e mostrato un pezzo di ghiaccio. I suoi occhi si sono illuminati, la sua bocca si è aperta in un gran sorriso, come se avesse aperto lo scrigno di un tesoro. Il suo tesoro era quel pezzo di ghiaccio. Un pezzo di ghiaccio, capite? Lo ha preso, l’ha bevuto e si è rinfrescata la fronte. Al momento dell’addio mi guardava con uno sguardo pieno d’amore, come fossi un principe azzurro. Intanto il mio cuore piangeva. Piangeva e urlava: “Giustizia, giustizia! Dove sei? Cosa devo fare? Dove devo indirizzare i miei passi?”.
Ci penso da allora e credo di aver trovato una risposta: i miei passi devono portarmi al tesoro! L’unico tesoro veramente importante, un tesoro sconfinato, che si nutre solo di se stesso e si moltiplica all’infinito: il sorriso di quella bambina. Ecco, questo è ciò che vi volevo raccontare. E voi? Ditemi, dove vi portano i vostri passi?

P. S. Sono andato con la Fondazione Francesca Rava. Sono bravi e buoni. Aiutateli come potete, per favore.”

 

- Francesco, partecipante al Campus in Haiti