Giovanni, padrino e partecipante al Campus in Guatemala

Era il 2003 e non ricordo più chi mi parlò della Fondazione Francesca Rava che si occupava di aiuto all’infanzia in condizioni di disagio e adozioni a distanza in nove paesi dell’America Latina. Io figli non ne avevo e mi sembrava un modo concreto per aiutare un giovane del Terzo Mondo a poter crescere e a farsi una sua strada. Non volevo dar soldi a fondo perso, volevo un riscontro che fosse un aiuto a qualcuno di specifico. La retta mensile chiesta per sostenere con l’adozione a distanza un bambino accolto in una Casa NPH era meno di un caffè al giorno, roba quasi da vergognarsi per chi vive nel ricco Occidente, e tuttavia un modo sicuro per un bambino orfano o bambino abbandonato di poter avere una certezza economica che permettesse cibo, alloggio e istruzione. Non scelsi, fui scelto.
La Fondazione Francesca Rava rappresenta l’organizzazione internazionale Nuestros Pequeños Hermanos, fondata nel 1954 da padre William Wasson, un prete cattolico statunitense che dopo un viaggio nella povertà del Messico decise di dedicarsi ai bambini di strada.
Fu così che dall’Ufficio Padrini della Fondazione mi arrivò una lettera con la foto di un adolescente dai forti tratti indio. Anzi, visto che la foto veniva dal lontano Guatemala, vedevo davanti ai miei occhi proprio un discendente degli antichi Maya! Ero diventato padrino di un ragazzo di 13 anni dal nome di Miguel Ángel García, ospitato nella Casa NPH di San Andres Itzapa. Essere padrino non è solo fornire una retta per mantenere e istruire un figlioccio, ma è anche seguire il suo percorso di vita e di studio. Io parlo correntemente lo spagnolo e questo mi ha indubbiamente aiutato nel rapporto negli anni con Miguel Angel, non avendo bisogno di traduzione. E così iniziò una corrispondenza, seppur lenta nei tempi, fatta di pagelle, disegni, foto, auguri. E che emozione veder cambiare una scrittura quasi infantile a più matura e, man mano, pensieri da adolescente in pensieri da ragazzo cresciuto.

Fu così che decisi, l’anno dopo averlo adottato, di andare a conoscere Miguel Ángel, unendo una vacanza in Guatemala ad alcuni giorni da passare nella Casa di NPH di San Andres Itzapa.
Beh, un ricordo che ancora oggi mi porto dentro. Non solo per l’emozione di abbracciare un figlioccio, ma anche per la visita in quello che è tutto il contrario del concetto standard di “orfanotrofio”. Una visita che dovrebbero fare in molti. Specie chi agisce nelle strutture pubbliche.
In un paesaggio immerso in una natura verdissima e paradisiaca, ecco un vero e proprio villaggio abitato da un centinaio di bambini e bambine, ragazzi e ragazze. Casette dormitorio pulite e mantenute pulite dai ragazzi stessi, mensa, aule scolastiche, asili, infermeria medica, laboratori di falegnameria, ferramenteria, pasticceria, taglio e cucito. I figli abbandonati del Guatemala seguiti con amore e cura filiale secondo gli insegnamenti di Padre Wasson.
Furono tre giorni intensi con Miguel Ángel e i suoi compagni. Anche una gita al mercato di Chimaltenango, il capoluogo di provincia, dietro ovvio permesso del direttore della Casa. Il rientro in Italia con la convinzione di aver fatto la cosa giusta. E la certezza che il tuo piccolo aiuto economico dall’altra parte del mondo diventa un grande aiuto e permette a un orfano di camminare verso un futuro più giusto che lo ripaghi di un’infanzia negata, spesso abusata, che nessun bambino dovrebbe subire…
Sei anni così, di lettere, notizie e un percorso in crescita e poi una grande, inaspettata sorpresa: una lettera in cui Miguel Ángel mi ringraziava di tutto. “Grazie padrino per tutto l’appoggio che mi hai dimostrato in questi anni, grazie per quello che ho ricevuto. Adesso ho 19 anni, grazie anche a te ho preso il diploma di contabile. Insieme con la mia ragazza abbiamo deciso di lasciare la Casa e di tornare al Petén, la regione delle foreste e dei templi Maya da cui provengo. Con affetto e un grande abbraccio. Miguel Ángel”.

Erano passati più di due mesi da quando lui aveva scritto la lettera. I consueti tempi della nostra corrispondenza. Mi misi subito a scrivere e gli risposi che capivo la sua decisione ora che era un maggiorenne, che capivo la sua voglia di costruirsi una vita e una famiglia, che mi sembrava perfino giusto che lasciasse la Casa che comunque gli aveva permesso di crescere e diventare un giovane uomo, in salute e istruito. E che per me non cambiava nulla. Anzi, l’avrei aiutato come e più di prima per andare avanti nella vita in un Paese in cui la vita non è per nulla facile.
Silenzio. Passarono i mesi senza nessuna notizia. Chiamai la Fondazione Francesca Rava ma purtroppo Miguel Ángel se ne era andato con la sua ragazza senza lasciare alcun recapito.
Lo ammetto: ci restai malissimo. Ma come? Proprio ora che iniziava la sua nuova vita, che potevo continuare ad aiutarlo, che magari poteva pure diventare padre di famiglia, lui se ne andava così?
Mi arrovellavo: ma perché mai una simile scelta di addio e silenzio? Fu una mia amica psicologa a spiegarmi. Mi fece riflettere che, per quanto cresciuto in un ambiente amorevole e attento in ogni senso, la reazione di un giovane che si apre alla vita può esser quella di chiudere la pagina di un passato comunque deciso dagli altri, per poter aprirne una nuova da sentire come solo propria.
Non è facile veder andar via un figlio. E non solo biologico. Ma è la sua vita e tu sai che devi rispettarla.

Come per reazione, era il 2011, aprii subito una nuova adozione a distanza. E la sorte mi diede un altro bambino della Casa NPH in Guatemala: Saul* (nome di fantasia per proteggere la sua privacy), un pequeño di 5 anni. E quest’estate ho deciso di ritornare in Guatemala per conoscerlo. Dopo 14 anni, è stato un tuffo nel passato rivedere il cancello d’ingresso della Casa San Andrés, il muro di cinta, le palazzine che ospitano le classi, i giardini così ben tenuti, i campi da gioco e i tanti pequeños e meno pequeños nelle loro divise blu e rosse NPH.
In 14 anni, grazie alla quantità di padrini e donatori in tutto il mondo, l’istituto si è molto espanso, ma sempre tutto nel rispetto della natura e “a misura di bambino”: scuola, giochi, sport, cibo e, soprattutto, valori da seguire e molto amore.
Conosco Saul, il mio nuovo figlioccio che ormai ha 12 anni; parlo poi con Cesario e David, i due splendidi ragazzi che ci accolgono e ci seguono e gli racconto di un’adozione di un tempo che fu. Miguel Ángel García? E, colpo di scena: “Ma certo che lo conosciamo! Era un poco più grande di noi. Sua moglie era una ragazza di qui e abbiamo il suo telefono: sono rientrati dal Petén già da tempo e adesso abitano non lontano da qui”.
Moglie?? Ah già! Come sarebbe padre di due figli??
“Giovanni ma guarda che il tuo figlioccio ora ha 27 anni”. No comment…..
“Vuoi che lo avvisiamo che sei qua?”.
Mah, non lo so: spetta a lui decidere…
Passa un giorno e David, tranquillo e sereno come una Pasqua mi fa: ”Iovani, mañana llega Miguel Ángel para visitarte”.
Io sono meno tranquillo e sereno…
L’indomani pomeriggio vado al cancello con David e vedo entrare un giovane omone. Scuro di pelle come lo ricordavo, coi lineamenti indios marcati, ma per me ormai irriconoscibile!
Ma davvero ‘è lui?! Si, è lui.
Vabbe’, i colloqui carichi di sentimenti ed emozioni vanno messi nel cassetto della privacy. Vi dico solo che quella mia ultima lettera in cui gli dicevo che continuavo il mio padrinato non gli era mai arrivata, giunta troppo tardi dopo la sua partenza. Vi aggiungo che non fa il contabile ma lavora per la compagnia telefonica Movistar, che ha due bambini: una femminuccia di 7 e un maschietto di 3, che ha una casa e che è felice di mandare i suoi bambini a scuola.
E che si ricorda tutto: anche di quel paio di scarponcini che gli portai dall’Italia e che conserva ancora…

 

- Giovanni, padrino e partecipante al Campus in Guatemala